Minestrone estivo di mia nonna – rivisitato con orzo decorticato

Ricordo i pranzi estivi in una piccola cucina. A tavola eravamo in sette, riuniti in un piccolo tavolo rettangolare. La cucina si trovava in una casa nei pressi del Bosco di Manziana, nel Lazio.
Mia nonna ci chiamava perchè il pranzo era pronto e ci faceva prendere un colpo quando vedevamo i sette piatti di minestrone bollente e fumante, in piena estate, tutti stretti stretti in una cucina ancora piena di vapori e pentole che sobbollivano.
In calabrese noi dicevamo : “pentole che gugghiono e sgugghiono”..

Sì perchè mia nonna sosteneva che il minestrone andava fatto in estate, stagione in cui le verdure migliori ed adatte erano nell’orto in quel periodo! Ed aveva pienamente ragione.

Il minestrone non è un piatto invernale, ma estivo.

Lei le mattine d’estate era in piedi alle 6,30 ed il suo modo di preparare il minestrone era davvero incredibile. Già di prima mattina metteva a bollire in un grande pentolone d’acqua le verdure più lunghe da cuocere, infatti ci buttava giù dal letto per farsi aiutare a pulire i fagiolini.

Scorciolijati, scorciolijati – diceva, ovvero Sbucciate, sbucciate..
Neanche il tempo di fare colazione con uovo sbattuto e nesculì ed in giardino c’era già una terrina con i fagiolini da pulire pronta per me e mio fratello.

Tenerume di zucchine 

E così metteva dentro il suo grande pentolone prima le foglie delle piante delle zucchine, dette tenerume, poi i fagiolini, le taccole ed alcune patate tagliate a dadini, altre semplicemente in quattro spicchi. Poi la cipolla e le carote, i fagioli borlotti e le zucchine, qualche pomodoro fresco, infine i fiori di zucca. La pentola bolliva ore, ore ed ore….. i profumi delle verdure si assemblavano tra loro, i vetri della cucina si appannavano. Le verdure venivano inserite gradualmente, a distanza di una o due ore tra un’aggiunta e l’altra.
Il minestrone di mia nonna cuoceva all’infinito!

Poi con calma passava alla seconda fase di preparazione, perchè il segreto del minestrone di mia nonna era il pesto. E così verso le 11 andava nell’orto a raccogliere il basilico fresco, lo adagiava in un colapasta, lo lavava in acqua corrente e lo lasciava scolare. Nel frattempo preparava tutti gli ingredienti: olio extravergine, aglio, formaggio ed i pinoli, spesso recuperati nelle stradine dei boschi e schiacciati con una pietra in giardino per aprirne le pigne piene di resina appiccicosa (mbingiusa).

io ed il robot di mia nonna, nel 2013

Metteva tutto nel robot da cucina e quando il pesto era pronto, lo metteva in un piatto fondo, univa alcune mestolate di brodo estratto dalla pentola, recuperava gli spicchi di patate e le schiacciava con l’aiuto di una forchetta ed il calore del brodo bollente.

Ancora formaggio, grattato da mio nonno, e mescolava tutto.
La densa crema sarebbe poi finita nel pentolone, a fine cottura, per ultimo.

Se in freezer aveva ancora dei piselli e delle fave conservate, inseriva anche una manciata di quelle.

Fave e piselli – poseja 

Anche la pulizia del formaggio richiedeva tempo: era il lavoro perfetto per mio nonno, una volta faceva il cameriere, uomo molto preciso e paziente. Lui raccoglieva le croste conservate in frigorifero dentro carta del pane e ne grattava tutta la buccia, la ‘scorza’. Grattava bene la parte da buttar via, poi cercava di grattugiare più che poteva la forma, il cui ricavato finiva nel pesto, mentre la parte dura veniva tuffata dentro il minestrone ed il più fortunato se la ritrovava nel piatto.

A zio Dori il minestrone della nonna piaceva senza pasta, quindi doveva ricordare di conservarne una porzione abbondante prima di versare la pasta nel pentolone.
Noi altri lo mangiavamo con la pasta corta, i ditali, zio Tonino diceva ogni volta che nel piatto “ngera chiù pasta ca minestruni” mentre mio padre diceva puntualmente che a lui il minestrone, piaceva freddo.

Ma nonostante il caldo, nonostante i piattoni abbondanti, nonostante le continue osservazioni di ognuno di noi, quando affondavamo i cucchiai improvvisamente in cucina calava il silenzio, o perlomeno si fa per dire, visto che qualcuno emetteva suoni fastidiosi con il cucchiaio, ma per fortuna a questi pose fine l’arrivo della mia zia scozzese, -Wendy detta Sven o Guenti- anni dopo.

Ce lo gustavamo tutto, fino alla fine, qualcuno faceva anche il bis.
Ed il pranzo si concludeva con la frase di mia nonna:
“E non nde voliuvu” trad. “E non ne volevate….”

Il minestrone di sola verdura, come piaceva a mio zio

Il minestrone di mia nonna era spettacolare, lo faccio tutte le estati seguendo tutti i suoi identici passaggi. Lo lascio un pò brodoso, metto poca pasta, è ottimo anche con il riso o l’orzo. L’ho fatto assaggiare a molte persone che lo hanno apprezzato. Ho l’abitudine di farne sempre un pò di più per metterlo in sottovuoto in vasi di vetro sterilizzati e poterlo conservare per l’inverno, ma alla fine, lo mangiamo sempre tutto!

E’ un enorme peccato non avere una foto della nostra tavola con sette piatti di minestrone. Ma in compenso ho allegato la foto del robot di mia nonna, che attualmente si trova nella casa al mare. Un po di riposo anche per lui, dopo anni di piena, pesante attività! Ritrovarlo è stata una forte emozione.
Ho allegato alcune foto recenti del mio minestrone, che, incredibile ma vero, ha lo stesso profumo e gli stessi sapori di quello di mia nonna.

Dedico questo racconto alla mia famiglia, ai miei ricordi di bambina, alla cucina di Via delle Fontanelle, a mia nonna che non c’è più, che se leggesse questo racconto comincerebbe a ridere tenendosi la pancia e facendo muovere la dentiera, trattenendola con la bocca, pulendosi con il grembiule imbrattato di cibo.

Stefania Cunsolo – Foodblogger